venerdì 28 maggio 2021

PEDAGOGIA

Il Metodo Montessori è una disciplina il cui obiettivo è dare libertà al bambino di manifestare la sua spontaneità. Secondo Maria Montessori la vera salute, fisica e mentale, è il risultato della “liberazione dell’anima” . In questo percorso di liberalizzazione del bambino, l’adulto deve intervenire solo per aiutarlo a conquistarla. Ricreare ambienti familiari “su misura“, fornire oggetti pedagogici appositamente studiati, favorisce lo sviluppo intellettuale del bambino. Una attenta osservazione del suo comportamento, senza interferire, gli permetterà di imparare e di autocorreggersi. Quando la Montessori ideò il metodo, l'educazione infantile era molto rigida e diversa da quella odierna. Come scrisse nel libro La scoperta del bambino, i bambini erano costretti in banchi dai quali non potevano muoversi e l'insegnamento era impartito in modo forzatamente nozionistico. Molte idee del metodo Montessori, quali ad esempio l'uso di arredamento di dimensioni adeguate (tutto "a misura di bambino"), oggi risultano entrate nell'educazione di tutte le scuole dell'infanzia, e per questo appaiono oggi banali e non rivoluzionarie come all'epoca. Certi altri stili e metodi educativi, invece, risultano ancora oggi tipici esclusivamente del metodo Montessori; ne è un esempio il divieto di dare voti al bambino o giudicarlo in alcun modo. Il bambino è libero nella scelta del materiale. Tutto deve scaturire dall'interesse spontaneo del bambino, sviluppando così un processo di autoeducazione e di autocontrollo. Montessori realizza del materiale di sviluppo cognitivo specifico per l'educazione sensoriale e motoria del bambino e lo suddivide in: materiale analitico, incentrato su un'unica qualità dell'oggetto, per esempio peso, forma e dimensioni. Educa i sensi isolatamente; materiale autocorrettivo, educa il bambino all'autocorrezione dell'errore e al controllo dell'errore, senza l'intervento dell'educatore; materiale attraente, oggetti di facile manipolazione e uso, creato per invogliare il bambino all'attività di gioco-lavoro con esso. Le attività di Vita pratica sono il fondamento della pedagogia Montessori. Ispirate alla nostra cultura e al nostro quotidiano, sono state adattate ai bisogni e alle manine dei bambini. Non è tanto importante l’attività in se stessa quanto lo sviluppo (concentrazione, coordinamento, autonomia…) che essa consente al bambino in un ambiente predisposto. Le attività offrono al bambino occasioni uniche per fortificare, rendere più precisi i suoi movimenti e pianificarli in modo ordinato. Dovrà imparare a coordinare i suoi gesti per uno scopo intelligente. Nell’approccio Montessori, il ruolo del movimento è primario per lo sviluppo armonico del bambino piccolo. Maria Montessori definiva tali movimenti come “umani” perché diretti dalla volontà del bambino con uno scopo preciso. Tramite la ripetizione dei gesti, i movimenti diventeranno sempre più precisi e il bambino acquisirà sicurezza nella pianificazione dei suoi gesti. Ideato per catturare l'attenzione del bambino e facilitarne gli apprendimenti, il materiale Montessori de Vita sensoriale è molto più di un semplice materiale pedagogico. È un materiale per lo sviluppo che non è concepito per semplificare il lavoro dell'educatore ma per favorire lo sviluppo interiore e la crescita del bambino. Dando la libertà al bambino di accedervi e manipolarlo tutte le volte che lo desidera, tale materiale risponde infatti ai suoi bisogni. D'altra parte, il materiale è concepito per consentire un passaggio sistematico e regolare dal più semplice al più complesso in un ordine facile da seguire e adattabile al livello e al ritmo con cui procede il bambino.

PEDAGOGIA

Il Welfare State vuole garantire a tutti i cittadini il diritto all’assistenza, alla salute, all’istruzione e al lavoro. L’unico modo per farlo è aumentare la spesa pubblica. In Italia, dal 1980, la spesa pubblica è di circa il 50% del PIL. L’incremento della spesa pubblica determina un potenziamento dei servizi pubblici, con la creazione di sicurezza sociale e ridistribuzione del reddito ma causa un’eccessiva espansione del debito pubblico. Aumentando la spesa pubblica è possibile un’espansione dei servizi pubblici. I servizi forniti dallo Stato (sanità, istruzione, sicurezza sociale, trasporti) migliora la qualità della vita dei cittadini, soprattutto quelli più poveri. Welfare stare significa “stato che assiste”. E’ una nuova condizione del diritto e dell’economia. Lo Stato non deve limitarsi ad assicurare ma deve gestire in proprio i servizi essenziali (pensioni, sanità..) Art.2-> lo Stato deve garantire i diritti inviolabili dell'uomo Art.3 -> lo stato deve portare un’uguaglianza sostanziale, portando i più svantaggiati in una condizione di parità. La spesa pubblica si divide in: - Spesa corrente: spesa per gli stipendi dei dipendenti pubblici, per la cassa integrazione, per la mobilità, per i sussidi ai disoccupati e alle famiglie bisognose. - Spesa a conto capitale: spese che servono per la costruzione di opere pubbliche (scuole, ospedali..). Lo Stato assiste attraverso i servizi pubblici (scolastico, sanitario, trasporti, servizi comunali..). Lo Stato sociale cerca di assicurare un sistema di sicurezza sociale mediante la previdenza sociale e l’assistenza sociale. I lavoratori devono essere tutelati non solo sul posto di lavoro e non solo per il periodo in cui sono in grado di lavorare ma anche in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia o disoccupazione involontaria. La previdenza sociale si basa su assicurazioni sociali obbligatorie finanziate da contributi in parte dei lavoratori e in parte dei datori di lavoro (a volta c’è l’intervento statale). Ci sono due tipi di previdenza sociale (pensione): - Vecchiaia: con 42 anni di lavoro e 62 di età; - Anzianità: 62 anni di età e 38 di lavoro. La legge Fornero ha abolito la pensione di anzianità e sono quindi pochi. Altri tipi di previdenze sociali sono: Mobilità: Viene data una somma (circa 700) a chi è licenziato fino a 2 anni. Cassa integrazione: per ogni categoria ci sono dei limiti numerici. Le aziende si accordano con i sindacati su quante persone debbano andare in cassa integrazione per massimo 2 anni. Dopo 2 anni vengono licenziate o riassunte se c’è bisogno di esse (ammortizzatore sociale). I due maggiori istituti provvidenziali italiani sono: - Inps: è il più importante ente di previdenza per il numero di assistiti e per il numero di prestazioni che deve garantire. - Inail: assicura le prestazioni mediche e di riabilitazione nel caso di infortuni sul lavoro o di malattie professionali. Assegna un’indennità temporanea o permanente a seconda della gravità. L’assistenza socialeOgni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. Lo Stato italiano garantisce questa assistenza e anche la UE riconosce il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi che assicurano protezione in caso di maternità, malattia, infortuni sul lavoro, dipendenza, vecchiaia, perdita del posto di lavoro per garantire un’esistenza dignitosa a chiunque non disponga di risorse insufficienti. - Sussidi: somma di denaro (500) che viene data a chi non ha altri redditi ed si trova quindi sotto la soglia di povertà. Viene dato anche dai comuni. - Assistenza abitativa: il comune favorisce abitazioni per chi ne ha la necessità. Il primo tentativo di realizzare uno Stato sociale è avvenuto negli Stati Uniti, durante la Grande Depressione quando il presidente eletto Roosevelt diede vita al New Deal (nuovo patto) che prevedeva una forte espansione della spesa pubblica nei settori economici e sociali. Si affermò la necessità dell’intervento dello Stato in economia. - Venne riorganizzato il sistema bancario; - Si approvò un vasto programma di lavori pubblici; - Vennero dati sussidi e finanziamenti al settore agricolo; - Venne approvata una legge che fissava minimi salariali, orari e riconosceva il ruolo del sindacato. Le banche avevano prestato il denaro a lungo termine e non riescono a restituire i depositi (spesi in borsa o per prestiti a lungo termine). Vengono così messi dei divieti: - Divieto di prestare denaro a lungo termine; - Diviene alle banche di diventare azioniste di società. Keynes dice di fare investimenti pubblici soprattutto nel campo dell’edilizia e soprattutto in zone depresse. C’è quindi una redistribuzione del reddito dando lavoro finanziato dallo stato per la classe media. Il reddito viene sottratto a chi ha molti soldi e viene dato a dipendenti che prima no avevano reddito. Si tende a rilanciare l’economia in territori depressi economicamente. Il denaro passa così da redditi alti a redditi bassi. Lo Stato sociale deve diminuire le disuguaglianze sociale a favore dei ceti più poveri e deve ridistribuire il reddito. Poiché il mercato, lasciato libero di agire, non distribuisce il reddito in modo equo, lo Stato deve intervenire. Il Welfare State, aumentando la spesa pubblica, rende più equa la distribuzione della ricchezza. Aumento spesa pubblica -> ridistribuzione territoriale del reddito. Il Welfare State deve destinare una parte della spesa pubblica alla creazione di infrastrutture nelle zone più povere, per superare gli squilibri territoriali nelle aree ricche e in quelle depresse. Vengono quindi dati direttamente finanziamenti ai soggetti economici che incrementino turismo, settore agricolo, industriale o vengono costruite infrastrutture. La ridistribuzione territoriale cerca di rimettere il moto il tessuto economico e produttivo delle aree depresse. Gli effetti ridistributivi dell’aumento della spesa pubblica sono amplificati dalla progressività del sistema tributario. Si ha la progressività quando le classi più ricche subiscono un maggior prelievo fiscale. Le risorse ottenute con il prelievo fiscale, che grava maggiormente sui soggetti più ricchi, vengono utilizzate per finanziare i servizi pubblici, usati anche dai soggetti più poveri. L’aumento della spesa pubblica fornisce alle persone più povere servizi finanziati soprattutto dalle classi più ricche. Negli ultimi decenni del XX secolo c’è stata un’espansione incontrollata della spesa pubblica che ha portato a una crisi dello stato sociale. L’assistenza, fornita a tutti senza scegliere i soggetti realmente bisognosi ha portato a un aumento della spesa pubblica e quindi un inasprimento del prelievo fiscale che ricade sulla collettività. C’è stato quindi bisogno di un ricorso al debito pubblico.

PEDAGOGIA

John Dewey è probabilmente il più grande pedagogista contemporaneo americano, vissuto a cavallo tra il 1800 e il 1900. Il suo pensiero ha influenzato moltissimo il modo di fare scuola fino ai giorni nostri ed è alla base di molti progetti e molte idee che animano anche la scuola dei nostri ragazzi e che potrebbero ulteriormente animarle. I suoi principi pedagogici dovrebbero essere tenuti presente ogni volta che si voglia promuovere nei bambini un apprendimento che sia davvero efficace, duraturo e significativo. Il ruolo fondamentale della scuola è, innanzitutto, quello di promuovere l'ESPERIENZA degli alunni. Nelle scuole bisogna partire dall'esperienza pratica: sulla base dell'esperienza pratica l'alunno formula una teoria e delle ipotesi e successivamente ritorna all'esperienza per verificare se la teoria e le ipotesi formulate sono esatte, in un legame continuo tra TEORIA e PRATICA. In questo senso la scuola promuove una conoscenza che sia utile per risolvere problemi concreti: ai ragazzi vengono sottoposti problemi pratici da risolvere, nell'idea che è proprio la necessità ad aguzzare l'ingegno. A questo proposito diventano quindi preziosissimi non solo i tentativi degli alunni, ma anche i loro errori, perchè permettono loro di formulare nuove ipotesi e trovare nuove soluzioni. Inoltre c'è nella scuola di Dewey grande spazio per i lavori manuali e quindi per l'istruzione professionale e ovviamente sono fondamentali le discipline scientifiche. Le stesse materie umanistiche vengono insegnate con un metodo che sia il più possibile scientifico e il più possibile legato all'esperienza pratica. Dewey arriva addirittura ad affermare che gli unici atti che si possono considerare davvero educativi sono quelli che promuovono e accrescono l'esperienza e quindi spingono il bambino a sperimentarsi in situazioni sempre diverse e nuove. Al contrario sono atti diseducativi quelli che non stimolano o addirittura precludono le esperienze future, che sono cioè basati solamente sulla routine e la ripetizione. Oltre alla promozione dell'esperienza la scuola ha un altro compito fondamentale: deve destare l'INTERESSE del ragazzo. In questo senso lui è fortemente contrario al nozionismo fine a se stesso: l'immagazzinare informazioni slegate dall'esperienza non ha senso, perchè non è utile, non rimarrà nella mente del bambino a lungo e anzi provocherà in lui una grande antipatia nei confronti delle scuola. Non è importante la quantità di informazioni che lo scolaro possiederà: sarà piuttosto opportuno promuovere nello scolaro il desiderio di conoscere, insegnargli un metodo di lavoro, dargli la consapevolezza che potrà con il suo sapere migliorare la società e si sentirà quindi partecipe del bene comune. Il ragazzo sarà in un'ottica di crescita continua. Non si promuoveranno quindi abitudine e ripetizione fine a se stesse ma si cercherà sempre di trasmettere al ragazzo il significato di quello che sta provando: le prime danno un insegnamento particolare, riferito ad un'unica questione specifica, il secondo allena la mente a saper affrontare i problemi di tutti e di tutta la società. In questo senso e paradossalmente, l'approccio della scuola deve essere il meno scolastico possibile. Spesso infatti accade che i bambini siano pieni di domande fuori dalla scuola e non abbiano nessuna curiosità a scuola: a loro manca il legame tra ciò che succede entro le quattro mura scolastiche e quello che succede fuori, cioè a quelle che sono le loro esperienze concrete di vita. In questo senso scuola e vita devono essere assolutamente collegate e avere scambi continui. Una volta che si farà leva su quello che è l'interesse del bambino, sul risvolto pratico della sua conoscenza, allora egli sarà anche più disponibile a tollerare uno SFORZO perchè non lo vivrà come una fatica "inutile" ma lo accetterà e affronterà anche se difficoltoso. Se l'alunno coglie che il "far fatica" gli permette di accedere a ciò che realmente lo interessa sarà disponibile a farlo: sarà quindi l'interesse a giustificare lo sforzo. Infine molto importante per Dewey è che la scuola sia in stretto contatto con la società e viceversa. La scuola è una vera e propria "formazione" perchè rende l'alunno pronto ad inserirsi nella società; nello stesso tempo prepara per la società persone in grado di migliorarla. Inoltre è interessante il fatto che Dewey ritenga che la scuola sia una sorta di società embrionale, di piccola società e proprio come la grande società debba essere una comunità democratica: propone in questo senso per esempio dei referendum decisionali tra gli alunni e votazioni. Sia la scuola sia la società devono essere in grado di valorizzare al meglio le risorse individuali in maniera cooperativa: la scuola infatti supera le differenza individuali (di nazionalità, lingua credo e altro...) e fa sentire gli alunni parte della società composta semplicemente da uomini che condividono gli stessi bisogni e lo stesso destino. L'insegnamento promosso nella scuola e la cultura che permea la società hanno un carattere molto concreto e pratico: il pensiero infatti è lo strumento attraverso il quale l'uomo può modificare l'ambiente anche in base alle sue necessità e quindi migliorare non solo la scuola, ma tutta la società. Scuola e società sono strettamente legate: la società ha bisogno della scuola per avere cittadini consapevoli e la scuola ha bisogno della società per preparare gli alunni alla vita reale.

SOCIOLOGIA

Dal punto di vista culturale si era fatta strada l'idea che la donna dovesse necessariamente rivestire un ruolo marginale nei processi produttivi e che quindi fosse lecito e naturale attribuire al suo lavoro un minore riconoscimento economico. Gli economisti classici elaborarono per esempio la teoria del doppio salario, secondo la quale gli uomini dovevano essere distribuiti anche per mantenere la famiglia, mentre le donne, potendo contare sull'appoggio economico del marito, andassero retribuite solo in funzione della loro sopravvivenza personale. È dunque nelle società industrializzate che si diffonde l'idea della donna casalinga e lo stereotipo sensibile e anche molto sottomesso che resterà per buona parte del 900. Nel contempo la donna lavoratrice diviene un soggetto anomalo, un problema sociale da risolvere. Questo perché le due condizioni, della femminilità e del lavoro industriale, sono considerate inconciliabili. Nella prima metà del 900 i ruoli lavorativi delle donne si ampliano in una triplice direzione: cresce la presenza femminile nelle fabbriche e nelle mansioni impiegatizie e compaiono figure professionali prettamente femminili. L'aumento della presenza delle donne delle fabbriche è reso possibile dall' introduzione del lavoro a catena e dalla progressiva sostituzione della forza fisica con le macchine. Le donne avevano comunque più affinità con le occupazioni assistenziali ed educative rispetto che con quelle strettamente produttive. Dopo la seconda guerra mondiale, nel periodo di crescita economica che coinvolge i paesi occidentali negli anni 50 e 60, aumenta il tasso di attività delle donne, pur rimanendo considerevolmente inferiori rispetto a quello maschile. In tutta Europa cresce il numero delle donne sposate lavoratrici e si allunga il loro periodo di attività; ma la maternità continua a rappresentare un ostacolo notevole. A partire dagli anni 60 però si registrano cambiamenti significativi. Negli ultimi decenni infatti è aumentato il numero delle donne che occupano ruoli dirigenziali e manageriali nelle industrie e nelle amministrazioni pubbliche anche se ciò non sempre corrisponde ad un accesso reale ai centri del potere decisionale. La differenza fra salari maschili e femminili, nonostante il proliferare di leggi di tutela, non fa che riprodurre potenzialmente le differenze sessuali sul mercato del lavoro. La condizione della donna nel corso dei secoli ha subito svariati cambiamenti. In quasi tutti i tempi e paesi è stata sottoposta nelle società del passato ad un trattamento meno favorevole di quello riservato all'uomo sia dal punto di vista giuridico, economico e civile, tanto da rimanere esclusa da tutta una serie di diritti e attività sociali; messa ai margini della società stessa. Nel Medioevo ma anche nel mondo cristiano la figura femminile aveva pochi diritti: era il marito che controllava la moglie. Solo grazie al lavoro divennero più libere. Fu infatti dopo la rivoluzione francese, grazie a Napoleone, che la sfera dei diritti delle donne venne ampliata. Nel mondo occidentale tra fine dell’800 e l’inizio del 900 iniziarono a far sentire la loro voce e a chiedere gli stessi diritti degli uomini e pari opportunità. Così, andando avanti con il tempo, in Italia nel 1946 arrivarono i primi riconoscimenti. Le donne votarono per la prima volta nel 1948, la costituzione stabilì l'uguaglianza tra i sessi e nel 1975 una legge decretò la parità di diritti tra marito e moglie. La donna oggi è una lavoratrice cittadina; non può quindi sottostare al potere dell'uomo. Le donne di oggi sono lo specchio del passato e la proiezione del futuro.

SOCIOLOGIA

Il processo di industrializzazione ha avuto un fortissimo impatto sulla struttura e sull'organizzazione familiare per i cambiamenti che ha provocato nella definizione e nell'articolazione dei ruoli in base al genere. La famiglia è per sua natura anzitutto l'istituzione attraverso cui la società riproduce sé stessa. Tuttavia nelle società moderne anche la produzione e il consumo delle ricchezze erano il risultato di comportamenti non tanto individuali quanto familiari. La famiglia appariva come un soggetto unitario dal punto di vista economico. L'individuo pensava e agiva come un suo membro. Con l'industrializzazione questo è cambiato: il soggetto protagonista dell'attività economica non è più ora la famiglia ma il singolo individuo inteso come prestatore di manodopera nella fabbrica. La famiglia continua a rappresentare un'entità economica non come soggetto unico ma come somma delle attività dei suoi membri, ciascuno dei quali partecipa al reddito familiare secondo modalità che tendono a differenziarsi e a farsi sempre più individuali. Spesso però non vi è connessione tra l'attività del marito e quelle svolte dalla moglie e dai figli. Dopo una prima fase di assestamento del sistema industriale furono soprattutto i maschi adulti e i giovani di entrambi i sessi a lavorare in fabbrica mentre i vecchi, i bambini e le donne si dedicarono alle incombenze domestiche, a quelle agricole e al lavoro a domicilio. Questo ha portato a una distinzione dei compiti dei ruoli degli spazi per gli uomini e per le donne all'interno della famiglia. Le donne si dedicarono sempre più all’economia informale, al mantenimento dei beni posseduti e ai servizi di cura ai minori ai malati e agli anziani mentre gli uomini tendevano a trascorrere sempre più tempo fuori dall'ambiente domestico. Quindi, anche in ambito familiare si è verificata un’individualizzazione dei ruoli. A ciò corrisponde il progressivo diffondersi della famiglia nucleare e al tempo stesso il contrarsi della famiglia estesa e di quella multipla. È dunque nei centri urbani interessati dal processo di industrializzazione che l'individualizzazione delle relazioni familiari prende piede per poi estendersi, a partire dal secondo dopoguerra, all'intera società. Innanzitutto nelle città della seconda metà dell'Ottocento si attua una vera e propria riorganizzazione degli spazi e dei ruoli. A volte la donna affiancava alle faccende di casa anche attività produttive come quella di sartoria, ma la strada era ormai tracciata nella direzione di una divisione dei compiti ben precisa. L'uomo lavorava fuori casa e vi ritornava la sera mentre alla donna era affidata la gestione dello spazio domestico. Si era verificata in questo modo anche una separazione netta tra i due ambienti: quello in cui si viveva e quello in cui ci si guadagnava da vivere.

SOCIOLOGIA

Se il processo di razionalizzazione del lavoro ha influito positivamente sulla società occidentale, consentendole di raggiungere un livello più alto di benessere e permettendo ai suoi membri di condurre un’esistenza più stabile, non pochi sono stati gli aspetti problematici che ha sollevato. Fu in particolar modo Marx a denunciare gli aspetti negativi dell’organizzazione industriale del lavoro. Per Marx l’aumento della produttività andava a vantaggio solo dell’imprenditore e non dell’intera collettività ed era possibile nella misura in cui il lavoro operaio, più semplice e parcellizzato veniva retribuito sempre meno. La divisione del lavoro insomma, che costituiva il risvolto più importante del processo di razionalizzazione, diventava fonte di disuguaglianza sociale, perché contrapponeva la classe degli imprenditori, che possedevano i mezzi di produzione e svolgevano compiti intellettuali e organizzativi ai proletari che erano costretti a venderla alle condizioni imposte dai capitalisti, accettando salari sempre più bassi e mansioni manuali sempre più ripetitive e meccaniche. Marx aveva inoltre osservato come il lavoro operaio, che si esaurisce nella ripetizione di una mansione sempre uguale, impedisca al lavoratore di cogliere il senso dell’intero ciclo produttivo. Egli lavora e fatica e, a differenza dell’artigiano, non può prendere decisioni autonome né stabilire finalità e obbiettivi. L'operaio non è padrone del prodotto del proprio lavoro, come lo è invece l’artigiano, ma si sente estraniato e allontanato da esso, ne è privato. Da fonte di gratificazione e di autorealizzazione, il lavoro diventa solo un mezzo per procurarsi da vivere. Questa condizione è stata indicata da Marx con il concetto di alienazione. Ciò significa che l’operaio è espropriato sia del senso complessivo del suo lavoro, sia dei prodotti della sua attività. L'alienazione indica per Marx non soltanto la condizione del lavoro operaio, ma anche la natura stessa della produzione capitalistica, che è inevitabilmente fonte di conflitti sociali in quanto fondata sulla disuguaglianza fra la classe degli imprenditori e quella dei proletari. Questo problema non riguarda però esclusivamente il periodo in cui visse il filosofo ed economista tedesco. Gli studi sociologici successivi hanno condiviso e approfondito la critica marxiana soprattutto per quanto riguarda l'analisi degli aspetti umani e sociali del lavoro alienato, separandola dalle tesi politiche del suo autore. L'alienazione si è infatti rivelata un problema sociale molto diffuso, non limitato soltanto al contesto dell'organizzazione del lavoro industriale. Per la sociologia odierna l'alienazione è una condizione di impotenza e di isolamento di estraneità e di mancanza di significato che gli individui sperimentano rispetto ai risultati delle proprie azioni lavorative e non solo. La rilevanza sociologica del problema è dovuta tra l'altro al fatto che la frammentazione del lavoro ha invaso progressivamente occupazioni molto diverse dalla produzione industriale. Dalla metà del ventesimo secolo sono state introdotte alcune significative novità che hanno determinato un non trascurabile mutamento di rotta. Nel settore industriale la nascita di una nuova generazione di macchine automatiche come i robot sembra aver spinto verso una soluzione almeno parziale del problema del lavoro alienato. Infatti questi avanzamenti tecnologici hanno portato all' automazione di processi di produzione sempre più complessi. Ciò vale naturalmente non solo per l'operaio in fabbrica: l’automazione si è estesa grazie ai computer e a internet dal settore industriale a quello dei servizi permettendo l'introduzione di innovazioni. Nel complesso l'automazione ha eliminato molte funzioni di manovalanza generica e ha portato alla nascita di nuove professioni altamente qualificate. Nello stesso tempo ha però comportato un aumento della disoccupazione a causa della drastica diminuzione dei posti di lavoro in particolare quelli più semplici e generici.

SOCIOLOGIA

L’esistenza delle persone della nostra società è organizzata intorno ai vincoli e agli orari imposti da quest’attività. La sua importanza non è dunque solo personale bensì anche collettiva. Nella società moderna, a differenza di quanto accade in una comunità, le mansioni di ciascuno sono organizzate e distribuite in maniera precisa e puntuale, così da far fronte a compiti produttivi complessi, non facili da gestire. Dunque il lavoro è stato negli ultimi due secoli al centro di un importante processo di razionalizzazione. Razionalizzare significa coordinare gli sforzi. Tutto ciò che acquistiamo è frutto dell’azione coordinata di persone che svolgono mansioni differenti fra loro. È quindi necessario che le persone sommino le loro diverse competenze allo scopo di produrre e rendere disponibile al consumo un certo oggetto. La forma più elementare di coordinamento la si ha quando due o più persone collaborano nello stesso modo alla medesima operazione. All'estremo opposto si ha il caso in cui gli individui non solo fanno cose diverse, ma le svolgono in maniera da cooperare tra loro e potenziare con ciascuna attività i risultati dell’altra. Questo è il tipo di divisione del lavoro che contraddistingue specificamente la società moderna. Con l’introduzione della manifattura come modalità prevalente di produzione, avvenuta nell’ottavo e nono secolo, il modo in cui erano tradizionalmente organizzati il lavoro e la produzione dei beni viene rivoluzionato. In una seconda accezione, razionalizzare il lavoro significa semplificarlo. Esso si inserisce in questo caso in una struttura organizzativa più rigida e viene scomposto in operazioni più facili ed elementari rispetto all’equivalente attività artigiana, operazioni che richiedono meno impegno e minori capacità di esecuzione. Da un ulteriore punto di vista razionalizzare è sinonimo di standardizzare e organizzare. Da qui nacquero i grandi sforzi di organizzazione del lavoro, di cui è costellata la società moderna fin dalle prime esperienze di Frederick W. Taylor e Henry Ford, l’inventore della catena di montaggio. All’utilizzo di macchine sempre più efficienti e produttive si accompagnò un’organizzazione del lavoro operaio che portava alla scomparsa di qualunque margine di discrezionalità e libertà operativa del lavoratore.

PEDAGOGIA

Il Metodo Montessori è una disciplina il cui obiettivo è dare libertà al bambino di manifestare la sua spontaneità. Secondo Maria Montessori...