venerdì 28 maggio 2021

SOCIOLOGIA

Dal punto di vista culturale si era fatta strada l'idea che la donna dovesse necessariamente rivestire un ruolo marginale nei processi produttivi e che quindi fosse lecito e naturale attribuire al suo lavoro un minore riconoscimento economico. Gli economisti classici elaborarono per esempio la teoria del doppio salario, secondo la quale gli uomini dovevano essere distribuiti anche per mantenere la famiglia, mentre le donne, potendo contare sull'appoggio economico del marito, andassero retribuite solo in funzione della loro sopravvivenza personale. È dunque nelle società industrializzate che si diffonde l'idea della donna casalinga e lo stereotipo sensibile e anche molto sottomesso che resterà per buona parte del 900. Nel contempo la donna lavoratrice diviene un soggetto anomalo, un problema sociale da risolvere. Questo perché le due condizioni, della femminilità e del lavoro industriale, sono considerate inconciliabili. Nella prima metà del 900 i ruoli lavorativi delle donne si ampliano in una triplice direzione: cresce la presenza femminile nelle fabbriche e nelle mansioni impiegatizie e compaiono figure professionali prettamente femminili. L'aumento della presenza delle donne delle fabbriche è reso possibile dall' introduzione del lavoro a catena e dalla progressiva sostituzione della forza fisica con le macchine. Le donne avevano comunque più affinità con le occupazioni assistenziali ed educative rispetto che con quelle strettamente produttive. Dopo la seconda guerra mondiale, nel periodo di crescita economica che coinvolge i paesi occidentali negli anni 50 e 60, aumenta il tasso di attività delle donne, pur rimanendo considerevolmente inferiori rispetto a quello maschile. In tutta Europa cresce il numero delle donne sposate lavoratrici e si allunga il loro periodo di attività; ma la maternità continua a rappresentare un ostacolo notevole. A partire dagli anni 60 però si registrano cambiamenti significativi. Negli ultimi decenni infatti è aumentato il numero delle donne che occupano ruoli dirigenziali e manageriali nelle industrie e nelle amministrazioni pubbliche anche se ciò non sempre corrisponde ad un accesso reale ai centri del potere decisionale. La differenza fra salari maschili e femminili, nonostante il proliferare di leggi di tutela, non fa che riprodurre potenzialmente le differenze sessuali sul mercato del lavoro. La condizione della donna nel corso dei secoli ha subito svariati cambiamenti. In quasi tutti i tempi e paesi è stata sottoposta nelle società del passato ad un trattamento meno favorevole di quello riservato all'uomo sia dal punto di vista giuridico, economico e civile, tanto da rimanere esclusa da tutta una serie di diritti e attività sociali; messa ai margini della società stessa. Nel Medioevo ma anche nel mondo cristiano la figura femminile aveva pochi diritti: era il marito che controllava la moglie. Solo grazie al lavoro divennero più libere. Fu infatti dopo la rivoluzione francese, grazie a Napoleone, che la sfera dei diritti delle donne venne ampliata. Nel mondo occidentale tra fine dell’800 e l’inizio del 900 iniziarono a far sentire la loro voce e a chiedere gli stessi diritti degli uomini e pari opportunità. Così, andando avanti con il tempo, in Italia nel 1946 arrivarono i primi riconoscimenti. Le donne votarono per la prima volta nel 1948, la costituzione stabilì l'uguaglianza tra i sessi e nel 1975 una legge decretò la parità di diritti tra marito e moglie. La donna oggi è una lavoratrice cittadina; non può quindi sottostare al potere dell'uomo. Le donne di oggi sono lo specchio del passato e la proiezione del futuro.

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