venerdì 28 maggio 2021

SOCIOLOGIA

Se il processo di razionalizzazione del lavoro ha influito positivamente sulla società occidentale, consentendole di raggiungere un livello più alto di benessere e permettendo ai suoi membri di condurre un’esistenza più stabile, non pochi sono stati gli aspetti problematici che ha sollevato. Fu in particolar modo Marx a denunciare gli aspetti negativi dell’organizzazione industriale del lavoro. Per Marx l’aumento della produttività andava a vantaggio solo dell’imprenditore e non dell’intera collettività ed era possibile nella misura in cui il lavoro operaio, più semplice e parcellizzato veniva retribuito sempre meno. La divisione del lavoro insomma, che costituiva il risvolto più importante del processo di razionalizzazione, diventava fonte di disuguaglianza sociale, perché contrapponeva la classe degli imprenditori, che possedevano i mezzi di produzione e svolgevano compiti intellettuali e organizzativi ai proletari che erano costretti a venderla alle condizioni imposte dai capitalisti, accettando salari sempre più bassi e mansioni manuali sempre più ripetitive e meccaniche. Marx aveva inoltre osservato come il lavoro operaio, che si esaurisce nella ripetizione di una mansione sempre uguale, impedisca al lavoratore di cogliere il senso dell’intero ciclo produttivo. Egli lavora e fatica e, a differenza dell’artigiano, non può prendere decisioni autonome né stabilire finalità e obbiettivi. L'operaio non è padrone del prodotto del proprio lavoro, come lo è invece l’artigiano, ma si sente estraniato e allontanato da esso, ne è privato. Da fonte di gratificazione e di autorealizzazione, il lavoro diventa solo un mezzo per procurarsi da vivere. Questa condizione è stata indicata da Marx con il concetto di alienazione. Ciò significa che l’operaio è espropriato sia del senso complessivo del suo lavoro, sia dei prodotti della sua attività. L'alienazione indica per Marx non soltanto la condizione del lavoro operaio, ma anche la natura stessa della produzione capitalistica, che è inevitabilmente fonte di conflitti sociali in quanto fondata sulla disuguaglianza fra la classe degli imprenditori e quella dei proletari. Questo problema non riguarda però esclusivamente il periodo in cui visse il filosofo ed economista tedesco. Gli studi sociologici successivi hanno condiviso e approfondito la critica marxiana soprattutto per quanto riguarda l'analisi degli aspetti umani e sociali del lavoro alienato, separandola dalle tesi politiche del suo autore. L'alienazione si è infatti rivelata un problema sociale molto diffuso, non limitato soltanto al contesto dell'organizzazione del lavoro industriale. Per la sociologia odierna l'alienazione è una condizione di impotenza e di isolamento di estraneità e di mancanza di significato che gli individui sperimentano rispetto ai risultati delle proprie azioni lavorative e non solo. La rilevanza sociologica del problema è dovuta tra l'altro al fatto che la frammentazione del lavoro ha invaso progressivamente occupazioni molto diverse dalla produzione industriale. Dalla metà del ventesimo secolo sono state introdotte alcune significative novità che hanno determinato un non trascurabile mutamento di rotta. Nel settore industriale la nascita di una nuova generazione di macchine automatiche come i robot sembra aver spinto verso una soluzione almeno parziale del problema del lavoro alienato. Infatti questi avanzamenti tecnologici hanno portato all' automazione di processi di produzione sempre più complessi. Ciò vale naturalmente non solo per l'operaio in fabbrica: l’automazione si è estesa grazie ai computer e a internet dal settore industriale a quello dei servizi permettendo l'introduzione di innovazioni. Nel complesso l'automazione ha eliminato molte funzioni di manovalanza generica e ha portato alla nascita di nuove professioni altamente qualificate. Nello stesso tempo ha però comportato un aumento della disoccupazione a causa della drastica diminuzione dei posti di lavoro in particolare quelli più semplici e generici.

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